Sui passi di Giovanni Tarantini
Nel numero della rivista settimanale “Il nuovo Brindisi” del 23 giugno 1870 – il cui originale è conservato presso la Biblioteca Pubblica Arcivescovile “A. De Leo” – venne pubblicata, nella rubrica dedicata all’Archeologia, una relazione dell’Arcidiacono Giovanni Tarantini, indirizzata alla Commissione Consultiva per la conservazione dei Monumenti Storici e di Belle Arti della Provincia di Terra d’Otranto, che riguardava i risultati di alcuni scavi in zona Santa Apollinare.
Giovanni Tarantini, esperto archeologo e strenuo difensore di monumenti di Brindisi che il “progresso” minacciava di distruggere, in questo suo accorato intervento descrive la scoperta avvenuta proprio in quei giorni in località Apollinaria, sulla riva sinistra della foce del porto interno, dei resti di antiche elegantissime terme romane, forse appartenute a qualche personaggio importante di quei tempi. Durante gli scavi era stato ritrovato anche il torso di una statua purtroppo senza la testa e parte del busto che, Tarantini descrive nei dettagli raffigurante una donna seduta, nuda, con indosso solo un velo trasparente, che sembra Diana, uscita dal bagno.
E’ preoccupato Tarantini che queste pregiatissime terme non facciano la fine delle altre, ancora più sontuose, ricche di marmi colorati e di mosaici, ritrovate sulla riva opposta del porto nel 1846, ma che erano state distrutte per allargarne la foce. Si augura infine che questa nuova scoperta sia completata, tutelata e “gelosamente conservata”.
Purtroppo sappiamo come è andata a finire!
Queste sono le sue parole:
All’onorevole Commissione Consultiva per la conservazione dei Monumenti Storici e di Belle Arti della Provincia di Terra d’Otranto:
Brindisi 18 giugno 1870
Degni dell’attenzione e dello studio della nostra Commissione sono gli avanzi di un’antica costruzione laterizia casualmente qui scoverti pochi giorni or sono nel luogo detto Apollinaria, e propriamente a’ piedi della collina che corona il piano della riva sinistra della foce del porto interno. Informato dell’avvenimento, mi son recato per due volte sul luogo, ed ho trovato che fin ora sono stati scoverti cinque membri, tre in un punto, e due in un altro ad alquanti passi di distanza ove si è fatto un secondo saggio. Non si può dubitare che non sia tutto un’edifizio, e che nello spazio intermedio non debbano trovarsi altri scompartimenti che uniscano insieme questi due estremi per ora scoverti. Da quanto adesso è visibile ben si rileva che sieno avanzi di antiche Terme. Resta chiaramente disegnato l’Ipocausto ossia i fornelli ed i condotti sotterranei che davan passaggio alla fiamma riverberata. Una delle tre celle unite insieme era probabilmente l’Apoditerio, o spogliatoio, e luogo ove si facevano le fregagioni (il fregare, lo strofinare ripetutamente, a scopo di cura sinonimo di massaggio, frizione ndr) delle membra colle strigili (strumenti ricurvi in osso o in metallo dei quali i Greci e i Romani antichi facevano uso nelle palestre, per detergersi il corpo dal sudore e dalla polvere ndr) o stregghie metalliche. La seconda, che è soprastante ad uno dei fornelli, era sicuramente la cella con camerata detta Sudatio, destinata a promuovere il sudore di chi si disponeva a prendere il bagno caldo. In faccia di una delle pareti di questa cella si osserva un gruppo di spiragli verticalmente disposti, che ne costituivano il Laconico, ossia la stufa propriamente detta. Qualcheduno di questi spiragli si osserva pure negli angoli della stessa cella.
I rozzi ed avidi operai, i quali sperano di trovare oro dovunque, hanno strappato un chiodo di rame che era infisso nel muro a cui si appoggia il Laconico. Era questo certamente uno dei chiodi dai quali per mezzo di catenelle pendeva il clypeus o scudo che serviva, coll’alzarlo od abbassarlo ad accrescere o moderare i gradi di calorico della stufa. Segue la terza cella soprapposta ad un altro fornello, dentro della quale dobbiamo ritenere che fosse collocata la grande conca delle acque calde. Delle due altre celle staccate per ora dalle descritte, una è di figura semicircolare, nell’interno conserva ancora qualche resto di rivestimento d’intonaco, e vi si osserva pure qualche avanzo di condotta d’acqua. Quando le posteriori escavazioni che si faranno dentro e fuori di queste due cellette non faranno diversamente giudicare, potremo dire che questa parte dell’edifizio fosse il Frigidario o luogo dei bagni freddi. Fra la terra smossa non è stato finora trovato che un lungo e grosso ago di rame, il quale è acuminato in una delle estremità e nell’altra ha due crune, una più sotto, e l’altra qualche linea più sopra. La materia di questo ago, la sua forma compressa, ed anche il luogo dove è stato trovato, debbono farcelo giudicare con certezza un oggetto di toletta, e propriamente uno degli aghi detti Discriminali, che erano quelli di cui le matrone si servivano per dividere sulla fronte i loro capelli, e quindi intrecciarli. Affatto nuova mi è giunta la particolarità della doppia cruna. Forse altri aghi simili si conservano pei tanti Musei, ma io l’ignoro. Giovami intanto segnalare questa che per me è una novità.
Elegantissime erano queste terme, come lo mostrano i tanti rottami di lamine di finissimo marmo Greco, per lo più bianco, che ne incrostavano le pareti, le soglie pur di marmo, e qualche pezzo di stipite di porta scanalato con finezza. Ed a queste Terme stesse debbo ritenere che una volta fosse appartenuto il torso di una statua di bellissimo stile che presso allo stesso luogo fu rinvenuto nello scorcio del passato secolo. Rappresenta una donna ignuda sedente coverta da velo trasparente, che sembra di esser Diana, uscita dal bagno. Manca la testa, ed anche parte dal busto.
Il pubblico non avrebbe potuto accedere a queste Terme che tragittando in barca uno dei seni del porto, o facendo un lungo giro per la via di terra. Credo perciò, ed anche per ragione della piccolezza delle celle, che sieno state piuttosto di uso privato, e che abbiano formato parte della villa di un qualche grande dei tempi Romani. Una volgare tradizione ci ha tramandato, non saprei su qual fondamento, che in questo sito detto Apollinaria, Lucullo avesse avuto una delle sue tante ville. Presso alla riva opposta della foce del porto nel 1846 furono trovate altre sontuose Terme meglio conservate di queste, e ricche di belli mosaici e di pregevoli marmi di vari colori. Non fu possibile conservarle, perchè dovendosi allargare la foce da quella banda fu giocoforza cedere al mare il loro posto. Non la semplice vista del mare si godeva da tutti e due questi stabilimenti balneari, vista che Plinio il giovane in una sua lettera a Gallo loda come il pregio maggiore delle Terme annesse alla sua diletta villa presso l’antica Laurentum, ma essendo messi in prossimità della riva del mare, riuscir ne doveva l’uso assai comodo e delizioso.
Intanto se una necessità indeclinabile non permise la conservazione delle Terme trovate nel 1846, saranno gelosamente conservale queste or ora scoverte, e delle quali si avrà cura di rilevar la pianta quando ne sarà compito lo scavament0. Mi auguro che i lavori per ora sospesi saranno ripresi ben presto, e continuati sino alla fine. Il Governo Nazionale dovrebbe sopperire alle ben lievi spese che occorreranno. Quando ciò manchi il Municipio stesso di Brindisi attenderà volentieri con mezzi propri all’esecuzione dell’opera. Debbo anzi aggiungere ad onor del vero che gli attuali illuminati Amministratori del Comune sono pronti a fare i maggiori sacrifici per tutto quanto possa giovare all’illustrazione e conservazione delle patrie memorie.
Arcid. Giovanni Tarantini della Commissione.
La statua che Tarantini descrive è conservata presso il Museo Archeologico “F. Ribezzo” di Brindisi (Brindisi, museo inv. 143). Delle antiche terme e dei lavori di scavo necessari per riportarle alle luce non ci sono più tracce.
“La statua di ninfa seduta su roccia, indossante un chitone trasparente e sandali elegantemente decorati, si ispira ad un prototipo tardo-ellenistico. La scultura proviene dalla villa sub-urbana individuata nell’area del Lido S. Apollinare: statue di ninfe – leggiadre divinità della natura – decoravano infatti di frequente nel mondo romano giardini e fontane.” (Didascalia M.A.P.R.I.)
Nello studio di Benita Sciarra si scrive anche che, a distanza di molti anni dal rinvenimento della statua acefala marmorea, nella stessa località venne rinvenuta una testa marmorea femminile (Brindisi, Museo inv. 66)
“Testa femminile (Artemide?).(Nella religione dell’antica Grecia fu la dea della caccia, degli animali, del tiro con l’arco, della selvaggina, a volte identificata come dea della luna, e di ciò che si pone al di fuori della città o del villaggio e anche dei campi coltivati; è anche la dea delle iniziazioni femminili. In epoca romana fu associata alla figura di Diana ndr) Inv. 666 da Lido Sant’Apollinare. Rielaborazione romana di un originale del IV sec. a.C” (didascalia MAPRI)
Questa foto indica come si presenta oggi la vista contemporanea dei due seni su cui sorgevano i due stabilimenti termali descritti da Tarantini:
Nella stessa zona a febbraio 2016 durante lavori di scavo per l’opera che doveva raccogliere, trattare e smaltire le acque meteoriche della nuova strada di collegamento tra la banchina di S. Apollinare e quella di Punta delle Terrare (un altro luogo che ha il vincolo della Soprintendenza in quanto vi furono trovati reperti dell’età del bronzo probabilmente micenei e tuttora giace ricoperto di terra e seppellito in attesa di tempi migliori), è stato rinvenuto un antico muro in lastre di carparo di cui si ignorano le origini.
Dopo un sopralluogo della Soprintendenza ai Beni archeologici della Puglia si decise di effettuare due saggi di scavo per identificare la natura del manufatto e del suo valore storico e di conseguenza i lavori vennero bloccati. Dalle foto odierne scattate nei luoghi interessati sembrerebbe che il muro sia stato reinterrato e con esso anche il passato di Brindisi, porto romano strategico e approdo frequentato anche in età preromana.
E questo è lo stato attuale dei luoghi, in condizioni di totale abbandono e incuria, industrializzato, cementificato, precluso alla città, e ai suoi cittadini. Altre bellezze sacrificate in nome di un illogico sviluppo industriale che ha distrutto la nostra storia e le sue preziosità. La mancata valorizzazione di questa area, la totale assenza della “generosa conservazione” auspicata da Tarantini sono una ulteriore occasione mancata dalla città di riprendersi una porzione di territorio e di storia che le appartiene.